La seconda edizione di TRAMAndare è stata un inno al percorso di formazione in campo sartoriale: la domanda che ci siamo poste nell’organizzare l’evento è stata “come hai imparato a cucire?” con l’intenzione di rivolgerla a tutti i presenti.

Con il format di un ted, in cui a parlare di un argomento specifico sono vari speaker in un tempo limitato a dieci minuti, il pomeriggio è trascorso all’insegna dei racconti di cucito di 12 ospiti selezionati, coordinato da Annalinda Pasquali che ha cucito con sapienza tutti gli interventi.

A iniziare la conversazione è stata la titolare di Giusti Tessuti, Vittoria, col racconto di un’attività longeva, nata agli inizi degli anni ’80, periodo storico in cui il commercio era fiorente, e passata con successo attraverso i decenni, assecondando e adeguandosi ai cambiamenti del mercato, aprendosi al nuovo rispettando i valori di sempre: la cura del cliente, la selezione dei fornitori, l’attenzione alle fibre tessili naturali e, non in ultima, la trasformazione di un semplice negozio in un laboratorio creativo in cui ci si incontra per cucire insieme. È da questi corsi di cucito che sono nate le relazioni che hanno contribuito alla creazione di TRAMAndare: allievi di cucito, stagisti e clienti sono il cuore dell’evento. Alcuni tra i 12 partecipanti hanno iniziato il loro praticantato presso il laboratorio Giusti e il giorno 8 giugno hanno raccontato il loro percorso di crescita che li ha portati a diventare sarti, hobbisti, dipendenti dell’industria della moda, studiosi, titolari di attività o semplici appassionati di cucito. Cominciamo.

Davide Pastocchi, titolaredell’omonima sartoria, nel raccontare la sua esperienza ha spiegato che ci vogliono 70 ore per fare una giacca da uomo, che i suoi clienti sono affezionati al bel vestire, che la sartoria da uomo segue dettami classici ma che dovrebbe svecchiarsi un po’. Il suo apprendistato è stato vario: dall’osservazione del lavoro di un sarto esperto è arrivato a lavorare per Brunello Cucinelli prima di aprire una sartoria tutta sua nel cuore di Perugia, dove veste clienti di ogni età. Il suo stile raffinato ed elegante si sposa alla perfezione con la voglia di innovazione tipica della sua giovane età, un connubio che persegue ogni giorno quando apre la porta del suo laboratorio.

Claudia Mecozzi ha invece raccontato della sua esperienza all’interno dell’industria della moda, della produzione Made in Italy che i brand dell’alta moda affidano a lei e altri 40 dipendenti: una realtà più grande rispetto al laboratorio artigianale, ma non così tanto come quella della produzione su larga scala, dove si sfiorano le migliaia di capi in serie. Uno dei problemi, secondo Claudia, di questo periodo storico non è tanto la produzione in serie ma la perdita di unicità del singolo brand, che spesso va a ricalcare modelli già fatti al posto di crearne di nuovi.

Un problema che invece riguarda tutti, dall’industria della moda al piccolo consumatore, è l’inquinamento prodotto dai capi d’abbigliamento a basso costo (low cost). La tendenza generale è quella di comprare a basso prezzo abiti cuciti con tessuti spesso sintetici e spesso prodotti nella metà del mondo più povera: questa combinazione di ingredienti porta anzitutto a farci indossare tessuti poco traspiranti e poco durevoli, in secondo luogo a inquinare il pianeta non solo con la produzione ma anche con lo smaltimento, e in ultimo a finanziare una catena di sfruttamento della manodopera, che troppo spesso non viene tutelata né pagata adeguatamente. A contrastare questo fenomeno, a livello mondiale, c’è il movimento Fashion Revolution, ma anche nel piccolo si può fare molto. Lo sa bene Maria Luna Lucidi, che insieme a sua mamma e suo fratello ha fondato Conditio, sartoria etica che basa il suo prodotto sul recupero di tessuti destinati al macero. Lei, che tiene molto alla questione ambientale, del riuso ha fatto manifesto; ma non solo: la sua mentalità è anche inclusiva al 100% con capi oversize che possono vestire qualsiasi taglia e genere. Avere un mondo più pulito e più inclusivo sono obiettivi stimabili.

Nel percorso di formazione spesso si parte dalla scuola di moda per arrivare a un’università specializzata, proprio come nel caso di Marlene Takrou, ex studentessa dell’IPSIA indirizzo moda e ora laureanda in fashion design. La sua passione iniziale non è stata tradita dallo scorrere del tempo e dai possibili cambiamenti di gusti: ha scelto di proseguire gli studi e indirizzarli nel settore del design per avere una formazione a tutto tondo in questo magico mondo che è quello della moda. Per la sua collezione d’esame dallo schizzo è passata allo studio del modello per poi trasferire il modello di carta su tessuto, tagliarlo, cucirlo e fare le rifiniture. Prossima alla laurea, Marlene è testimonianza di quanto le giovani generazioni vogliano impegnarsi nel perseguire i propri obiettivi, dedicando tempo alla tradizione sartoriale quanto all’innovazione tecnologica ad essa collegata.

Cucire per se stessi è molto diverso dal farlo per lavoro: se si sbaglia non è un problema irrisolvibile, non si hanno scadenze o clienti da accontentare. È ciò che vive Paola Leone, che ha coniugato la routine della sua vita famigliare e lavorativa con l’hobby della sartoria. Lo fa con e per passione perché il cucito le dà gioia, la fa stare bene e la rilassa, spegnendo i ritmi veloci della vita e permettendole di abbracciare quelli calmi del cucito. Ha parlato di cucito come una terapia dell’anima, facendo annuire tutti i presenti. Concorda Paola Viozzi, presidente del Club Soroptimist delegazione di Fermo, circolo che sostiene l’imprenditoria al femminile e che è stato ente patrocinante di TRAMAndare. Ha raccontato del corso di cucito intitolato “Ricuciamo”, sostenuto dal suo club e dedicato alle donne vittime di violenza domestica: “è stato un momento in cui le donne hanno preso consapevolezza del loro potenziale, hanno creato un gruppo di sostegno e si sono sentite più presenti, padrone della loro vita”.

Il cucito come terapia è stato affrontato anche da Roberta Ruffini, esperta fisioterapista che è riuscita a introdurre un semplice passatempo nel suo lavoro di cura del paziente: dopo aver capito l’importanza del lavoro manuale – e nello specifico di quello con ago e filo – durante il suo percorso di riabilitazione cognitiva, si è tuffata nel ramo della terapia della mano. È stato durante gli esercizi con i pazienti che ha avuto l’idea di cucire tutori personalizzati per permettere a qualsiasi corpo di effettuare il giusto percorso riabilitativo. Il cucito è quindi un atto di cura, per se stessi e anche per gli altri, perché permette di creare su misura, rispettando i tempi e i fisici di tutti.

In un modo o in un altro, la voglia di imparare a cucire ha accomunato tutti i partecipanti al talk di TRAMAndare, che hanno ricordato i loro esordi in sartoria. Anche Marina Mannucci (chi scrive) ha avuto il piacere di parlare del suo percorso, iniziato da piccolissima nel laboratorio di sua nonna, continuato grazie all’aiuto di sarte di paese che le hanno dato modo di osservare il loro lavoro e poi proseguito con studi specifici su modellistica e confezione, effettuati con il metodo SITAM, di cui si fa portavoce come insegnante all’interno di Giusti Tessuti, unica scuola del marchio in territorio fermano. Marina ha unito cucito e scrittura, altra sua passione e lavoro, per scrivere “I racconti di cucito”, uno dei quali è pubblicato all’interno dell’antologia Marche d’Autore – i mestieri artigiani: storie in cui si parla di apprendimento, di lezioni di cucito e lezioni di vita, proprio come le è stato insegnato e come sta, a sua volta, tramandando. L’idea di parlare di cucito attraverso la parola scritta e orale non è solo sua: anche Rosa Brancaccio, una volta giovane allieva di Giusti Tessuti ora laureata in Lettere Classiche presso l’Università Ca’Foscari, ha deciso di tramandare ciò che ha appreso in sartoria utilizzando un progetto universitario specifico, che l’ha portata a essere la speaker di un podcast tutto suo, chiamato Petali di Rosa, in cui affronta le passioni della sua vita, cucito in primis. Insieme a Marina nella seconda stagione del podcast si commenteranno curiosità sul cucito, superstizioni tra sarte e modi di dire nel parlato quotidiano che fanno afferenza al mondo sartoriale. Il primo tema affrontato è proprio uno di questi: si sono interrogate su cosa volesse dire “attaccare bottone”, sia nel cucito che nella vita. Un momento interattivo di TRAMAndare è stato, per l’appunto, quello di attaccare un bottone tutti insieme, scoprendo la facilità di esecuzione e anche la bellezza di condividere un semplice gesto.

Infine Enesia, la più anziana di tutte e la nonna di tutte, ha incarnato appieno il senso di TRAMAndare, lasciando una perla di saggezza al pubblico: “bisogna sempre perseverare, non abbattersi quando si fa uno sbaglio e saper ricominciare”. La Perseveranza è solo una delle sue 3P, ormai un motto da tenere sempre in mente: “per cucire ci vogliono le tre P, chi me le sa dire?” Su questa domanda si sono trovati tutti d’accordo: le 3P di Enesia condivise dagli altri sono Passione, Pazienza e Perseveranza. La P di Perfezione, invece, secondo Enesia è sempre un obiettivo da voler inseguire senza avere la presunzione di ottenere.

A conclusione di un pomeriggio tanto intenso non poteva mancare un aperitivo all’insegna dello slow food, che ben si sposa con la mentalità slow fashion propria dell’artigianato. A curarlo è stato Andrea dell’azienda agricola Contropodere, che ha proposto in abbinamento ai vini della Cantina Rio Maggio una serie di spuntini ricercati e vegani, scanditi da veri e propri motti di cucito e di vita quotidiana. Ci sembra doveroso ricordarne uno in particolare che ci fa pensare all’utilità del cucito nella vita, nelle situazioni difficili, nelle discussioni e nei gesti: “chi taglia taglia, chi cuce ragguaglia”.

Al prossimo TRAMAndare!

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