Ago e filo per alcuni sono oggetti sconosciuti, ma mia nonna dice sempre “l’ago e la pezzola aiutano la famigliola”, e negli ultimi anni la tendenza è quella di avvicinarsi al cucito fai-da-te.
Quali sono i motivi che ci spingono a cucire al posto di comprare un abito?
1 – il problema della TAGLIA.
Entro in un negozio, “bel vestito, azzeccato anche il colore, ma la mia taglia non c’è”. Oppure: “ho trovato la mia taglia ma non amo né il taglio dell’abito né la manica troppo corta” e così via.
È facile che nei negozi di abiti confezionati non ci sia esattamente ciò che vogliamo, oppure non cada a pennello sul nostro corpo. Questo è del tutto naturale, perché chi confeziona non conosce la cliente finale e non sa che su di lei, ad esempio, sta bene una 42 di seno, una 44 di vita e una 46 di fianchi! La verità è che nella vita reale non siamo monotaglia.
Per fare in modo che un abito ci stia bene, è necessario cucirlo addosso alle nostre personalissime misure.
2 – il problema TESSUTO.
I tessuti non sono tutti uguali, un cotone di buona foggia non è uguale né al tatto e né come resa, ad un cotone più economico. Scegliere il tessuto che più ci piace toccandolo e chiedendo consigli a chi ce lo vende, è garanzia di buona riuscita.
3 – i COSTI.
Pensiamo erroneamente che un abito su misura sia esoso. Ebbene devo smentire ed è ora di fare due conti.
Un abito da cerimonia, lungo ai piedi, con taglio impero e senza maniche richiede un lavoro artigianale che spesso non corrisponde al prezzo finale. Mia nonna direbbe “se le sarte facessero pagare un vero onorario, allora sì che sarebbe costoso”, e spesso dice “il tempo non va considerato!”. Ed è vero: un abito del genere può partire da una base equivalente ad un centinaio di euro e richiede un lavoro di giorni interi.
Lo stesso abito in una boutique specializzata in cerimonie partirà sicuramente da una base più alta, con la differenza che non è fatto su misura e che spesso, purtroppo, è cucito in fibre sintetiche (vedi punto 2) ed è di importazione (vedi punto seguente).
4 – WHO MADE MY CLOTHES, ovvero chi cuce i miei vestiti? È la domanda che si pone il movimento “Fashion Revolution”.
Non sempre ci chiediamo da dove vengono le t-shirt che compriamo nei circuiti della grande distribuzione, eppure basta dare un’occhiata all’etichetta per scoprire che spesso sono capi d’importazione. E questo non sarebbe un problema, se non fosse in atto un vero e proprio sfruttamento dei lavoratori. Spesso si tratta di manodopera asiatica, mal pagata e senza diritti. Far cucire un abito alla propria sarta significa canalizzare l’economia rendendola uno ad uno. Cucirlo da soli vuol dire rendersi conto del valore del lavoro artigianale, non contribuendo al mercato ignobile del fast fashion.
5 – la SODDISFAZIONE.
Avere un pezzo di stoffa, disegnarlo, tagliarlo, imbastirlo, cucirlo, rifinirlo e alla fine vedere come si trasforma da essere semplicemente un tessuto ad essere un abito da appendere al guardaroba, è un processo magico. Sapere che siamo state noi a crearlo fa scaturire un senso di appagamento unico. Lo sapete, se avete almeno una volta nella vita risposto alla domanda “Bel vestito, dove l’hai preso?” dicendo “L’ho fatto io”.
M.M.