Se negli anni Cinquanta un single suscitava il rammarico di tutta la comunità perché ritenuto nevrotico o addirittura malato proprio a causa della sua condizione da single (o scapolo per essere fedeli alla terminologia dell’epoca), dopo l’amore libero e il movimento di rivendicazione della libertà e dei diritti degli anni Settanta, non solo il numero dei single è cresciuto sempre di più ma è cambiata anche la considerazione della società nei confronti di chi sceglie una vita solitaria. Coloro che vogliono restare liberi sono stimolati da un mondo consumistico che propone mono porzioni di cibo, crociere per single, divertimenti e vantaggi.
Mi stavo chiedendo com’è considerato l’essere single da un punto di vista lavorativo oltre che sociale, e perché è così importante in un colloquio di lavoro specificare la propria situazione sentimentale.
Durante un’intervista in cui si parlava di lavori all’estero mi è stato detto da una giovane donna: “Durante il colloquio finale per ottenere un posto di lavoro in America mi è stato chiesto se avessi una relazione. Guardando gli esaminatori ho capito che se avessi detto di avere un fidanzato in Italia non mi avrebbero fatto partire, per cui ho mentito”. Essere single, tra le altre cose è diventato un criterio per trovare lavoro.
Le lavoratrici tra i 25 e i 35 si sentono discriminate perché spesso si presuppone che una donna di questa età debba essere sposata e in procinto di avere figli; nel momento in cui presentano una candidatura hanno il terrore di non essere assunte a causa di questa considerazione. È più comodo assumere una persona libera da impegni che una con una famiglia; il lavoratore single è più propenso ai trasferimenti, a rimanere in ufficio fino a tardi ed è quello con probabilmente meno scuse per saltare il lavoro.
Pare che un’estetista debba essere snella, single, senza legami né figli, ed essere disposta a lavorare dieci ore al giorno in orario continuato. Si tratta di una discriminazione che annulla la parità di diritti, sia tra uomo e donna che tra single e in coppia.
Non pare anche a voi che questo pensiero sia un retaggio di una ristretta mentalità degli anni cinquanta, che a quanto pare, a discapito di quanto si voglia pensare, ancora ci appartiene?
Marina Mannucci