Elementi della tradizione siciliana L’ISOLA CHE ABITO. Da Marras a Dolce & Gabbana

Le parole di Tomas Maier, direttore creativo di Bottega Veneta, spiegano perfettamente il profondo legame che unisce un artigiano al proprio territorio. Un rapporto che è importante saper individuare e riconoscere per poter valorizzare non solo l’oggetto artigianale in sé ma anche il bagaglio culturale che conserva.

Sarebbe una grave perdita se la conoscenza e il valore culturale incarnati dai saperi artigianali fossero perduti. Questo know-how porta con sé elementi preziosi di creatività individuale e storia: già solo per questo è insostituibile. Non solo dobbiamo preservare questa particolare forma di conoscenza, ma dobbiamo lavorare per assicurarci che l’artigianato continui a prosperare là dove ha le sue radici. Il luogo è fondamentale per l’artigianato. Da un lato, le tradizioni culturali locali plasmano profondamente il sapere artigiano, dall’altro, la tradizione artigianale locale influenza profondamente l’evoluzione della cultura locale.

Nel mondo della moda spesso i designer realizzano collezioni ispirate alle proprie radici. La creatività degli stilisti è inevitabilmente influenzata dal luogo nel quale sono nati e cresciuti, in particolare nella scelta di determinati colori, di certi tessuti piuttosto che altri, delle tecniche di lavorazione artigiane tradizionali.

Infatti se è vero che la moda pesca un po’ ovunque ed è quindi senza confini, è vero anche che esistono luoghi e caratteristiche nazionali, specificità locali legate al clima, alle produzioni agricole, alla vocazione territoriale, così come esistono peculiarità e domini culturali e politici che incidono su stili e gusti. Queste tradizioni, tramandate da generazione in generazione, segnano per sempre il rapporto artigiano – territorio, stabilendo un legame che condizionerà per tutta la vita il lavoro di chi mette sé stesso negli oggetti che crea.

A tal proposito sono emblematici i casi di Antonio Marras e Domenico Dolce, da sempre molto legati alle rispettive terre di origine, e forse non è un caso che siano proprio due isole: la Sardegna e la Sicilia.

Antonio Marras nasce ad Alghero, Sardegna, dove si ostina a vivere, cosciente che la sua forza gli viene dall’isola.

Isola significa nel mare e il mare per me è movimento continuo, agitarsi di onde, andare, venire. Il mare è libertà, non isola affatto la terra che circonda, anzi invita al viaggio. Per questo chi nasce in un’isola sente il bisogno di partire e poi tornare.”

Così Antonio Marras descrive il suo rapporto con la Sardegna, terra che segna profondamente la sua cifra stilistica e da cui trae continuamente ispirazione: storie, colori, procedimenti artigianali ed elementi stilistici sono suggestioni di quest’isola. Proprio ad Alghero infatti, nella sua casa-laboratorio, nascono pezzi unici realizzati interamente a mano da sarte e ricamatrici dell’isola, fedeli custodi di maestrie e codici tramandati da millenni.

Nelle collezioni di Marras il rapporto sentimentale con la Sardegna si aggroviglia e si fonde con riferimenti al mondo dell’arte, della letteratura, del cinema, della danza; a volte sono cenni espliciti ed evidenti, la maggior parte delle volte sono invece allusioni implicite e celate.

Ad esempio l’ultima collezione (A/I 2017 – 2018) firmata Marras, che ha sfilato a Milano a passi di tango, è un omaggio a due donne: la regina dei fiori, Eva Mameli Calvino, e la ballerina tedesca Pina Bausch. In particolare Eva Mameli nasce a Sassari nel 1886 e nel 1915 diventa docente di botanica; come Marras non dimentica mai la propria terra e dedica le sue prime pubblicazioni alle piante erbacee e alla flora della Sardegna. Con questa sfilata, oltre a raccontare la storia di due grandi donne, Marras unisce l’amore che ha per la sua terra con la passione per la danza: “immagino che Eva scriva in una lettera al fratello se non avessi fatto la botanica, avrei fatto la ballerina”.

Allo stesso modo, andando a ritroso, la sfilata A/I 2016 – 2017 ha come protagoniste due donne: Adele H, protagonista del film “L’histoire d’Adèle H” diretto da François Truffaut, e Grazia Deledda, scrittrice sarda vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926. Come nella storia di Adele H, anche Grazia Deledda si innamora di un militare al quale scrive lettere d’amore; così Antonio Marras mette in dialogo i sentimenti di queste due donne, le loro storie e le loro lettere d’amore. Questa collezione poetica e romantica, ma allo stesso tempo ricca di dettagli dark e punk è proprio il simbolo della pazzia e dell’amore folle.

Se i riferimenti di Marras, nei confronti della Sardegna, sono puramente concettuali, è invece più evidente e diretto il rapporto tra il marchio Dolce & Gabbana e un’altra isola, la Sicilia. L’ultima collezione (A/I 2017 – 2018) mette in scena tutti gli elementi distintivi del brand: dai tubini neri e i pizzi, che rimandano sia all’abbigliamento austero delle donne siciliane di un tempo sia alla tradizionale lavorazione artigianale dei pizzi e dei merletti, fino all’oro e all’eccessivo decorativismo, tipici del barocco siciliano.

Ancora più palese e forse più ostentato è il richiamo alla Sicilia nelle collezioni P/E 2013 e A/I 2013 – 2014. Nella prima sfilata, sulle note di Meraviglioso di Domenico Modugno, è subito chiara l’ispirazione alla tradizione folkloristica: il carretto siciliano, i vasi Mori, il teatro dei Pupi, la maiolica, sono solo alcuni dei simboli utilizzati dai due stilisti per evocare il fascino dell’isola. Una collezione coloratissima che celebra la gioia, l’allegria, ma anche l’artigianato e la cultura popolare.

Nella seconda sfilata: abiti – mosaico in tessuti broccati e jaquard, ricami, pietre, corone da principessa, orecchini a forma di croce sono evidenti richiami ai mosaici bizantini del Duomo di Monreale, in provincia di Palermo.

Di notevole interesse sono inoltre le campagne pubblicitarie di Dolce & Gabbana, spesso ambientate proprio in Sicilia, con protagonisti gli abitanti del luogo insieme a famose top model. Una cifra stilistica che li caratterizza e li accompagna da molto tempo: era il 1987 quando Domenico Dolce e Stefano Gabbana, agli esordi della loro carriera da stilisti, decisero di collaborare (non a caso) con il fotoreporter siciliano Ferdinando Scianna e la modella Marpessa Hennink.

Ne uscì un lavoro strepitoso in cui la modella venne inserita con ambiguità tra realtà e finzione nel contesto in cui Scianna aveva vissuto la sua infanzia: il fotografo si ritrovò nel ruolo insolito di guidare Marpessa negli spazi e nelle relazioni con le persone, come i bambini che uscivano da scuola o le donne e gli uomini del paese.

Questi scatti memorabili, che sembrano fotogrammi tratti da qualche film neorealista, oltre a testimoniare lo stretto rapporto tra i due stilisti e la Sicilia, sono anche estremamente rilevanti nella storia della fotografia di moda: sanciscono una rottura con il passato, introducendo persone reali e scene di vita quotidiana in un contesto generalmente rivolto verso l’artificio e la finizione.

Claudia Mecozzi

immagini da Vogue

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