Il mondo globale avvicina le civiltà, fonde le usanze tra loro, inventa nuovi costumi e miscela le tradizioni. Ciò che consegue all’incontro di culture può essere un’apertura al nuovo o al contrario una conservatrice chiusura nel proprio piccolo mondo. Oggi parlerò di tradizioni e di novità, di velo arabo e di alta moda, di intolleranza e apertura.
Siamo nella Svizzera cosmopolita, ricca, attenta all’avanguardia artistica e alla moda. A tutti gli effetti Lugano è un centro che punta la sua economia su negozi di lusso ed è proprio da uno di questi che vedo donne arabe a volto semi coperto uscire sorridenti con buste griffate. Sicuramente i loro mariti hanno concesso loro svago e shopping, e le immortalano coi loro i-phone in pose smaglianti sullo sfondo del lago e dei negozi che hanno appena visitato.
Se gli arabi sono i nuovi clienti della moda di lusso è anche vero che in Svizzera è in vigore una legge, votata dal popolo, che obbliga le donne arabe a togliere il velo (chador) e autorizza i cittadini a chiamare le autorità qualora incontrassero una donna a capo coperto. È successo circa un mese fa che una donna sia stata fermata in un luogo pubblico e allontanata dallo stesso, successivamente al suo rifiuto di scoprirsi. Alcuni cittadini svizzeri sostengono che così facendo la nazione perderà acquirenti importanti che sono utili all’economia locale. Altri, spaventati dall’idea di attentatori, credono sia giusto, per odio o per precauzione, applicare la legge.
Ma quanto il velo è davvero musulmano per caratterizzazione? Maria Giuseppina Muzzarelli, nel suo ultimo libro “A capo coperto. Storie di donne e di veli” indaga l’uso del velo in tempi remoti, attribuendone larga distribuzione, pensate un po’, tra le donne italiane e cattoliche. Sin dall’antichità fino alle riconducibili donne siciliane di non tanti anni fa, il velo è un copricapo usato principalmente per andare in chiesa, per sottolineare uno stato (vedovanza), un lutto o una particolare condizione. Nel mondo dell’alta moda italiana gli stilisti Dolce & Gabbana hanno dapprima ripreso questo costume siculo per la collezione fatta di pizzi e fiori e carretti in pieno stile Sud Italia, per poi finire direttamente nel mondo arabo, abbracciando l’idea del velo e presentando in passerella donne a capo coperto (collezione Abaya 2016).
Che la decisione di presentare una collezione d’alta moda pensata per le donne arabe sia dettata da scelte di marketing non offusca la totale apertura verso un mondo differente, fatto di tradizioni difficilmente comprensibili; allo stesso modo quelle tradizioni che si coprono sotto strati di velo nero, si stanno spingendo verso la novità di un mondo altrettanto lontano: quello dell’alta moda.
Potrebbe essere lo stimolo per capire quanto la diversità sia ormai annullata, le barriere abbattute e si possa percorrere insieme il corridoio, ora stretto e lungo ma un giorno ampio e sgombro, dell’avvicinamento e della condivisione. Può risultare paradossale che il mondo colorito della moda, in velocissimo cambiamento di tendenze e di gusti, possa avvicinarsi a quello di una tradizione secolare che impone un unico modo di abbigliarsi e un unico colore, uguale per tutte; eppure in un modo ancora inspiegabile, è più aperto di noi, e quei cittadini svizzeri terrorizzati da un capo coperto, guardando le passerelle, potrebbero prendere visione di un nuovo punto di vista.
Marina Mannucci