Barbara Haskell e Luca Beatrice curano la mostra dedicata a Edward Hopper al Vittoriano di Roma, visitabile fino al 12 febbraio 2017.

L’allestimento riserva un ruolo importante alla luce, che troviamo nelle modalità a occhio di bue, soffusa o profondamente gelida. Non poteva essere altrimenti visto che Edward Hopper è l’artista della luce, che lui identifica come la solitudine, l’apatia e l’isolamento.

La sua opera si inscrive nella corrente del Nuovo Realismo, in un America colpita dalla crisi economica del 1929, di cui registra la profonda disillusione. Citando Carlo Bertelli nel suo manuale didattico La storia dell’arte: “Uno degli artisti che esprime con maggiore intensità questo disagio è Hopper. Egli ritrae la vita silente e anonima dei sobborghi metropolitani delle desolate cittadine di provincia, le strade vuote, le inanimate stazioni di servizio, le squallide stanze degli alberghi”.

L’idea della solitudine è lampante, ti abbaglia come quel chiarore dipinto sulle mura e sulle finestre delle case americane, in una dimensione straniante e sospesa. Strade deserte, pompe di benzina, case isolate sono alcuni dei soggetti più ricorrenti e che fanno da scenario alla vera protagonista delle opere di Hopper: la luce appunto.

Una serie di quadri del periodo parigino anticipano quelli del periodo americano; il cambiamento è basato unicamente sul paesaggio perché la sensazione di impersonalità e indifferenza sembra la stessa. Eppure Hopper riesce con assoluta precisione a rendere vivo ciò che più di inanimato esiste: le case, gli oggetti, i paesaggi urbani, grazie al rimbalzo della luce naturale, sembrano più presenti e accesi delle persone. Il silenzio sembra esserci in ogni quadro, i personaggi non dialogano e appaiono presi dai loro pensieri.

Meticoloso nel suo lavoro, ci presenta una serie di bozzetti a carboncino e gessetto, sorprendentemente carichi di dettagli e definiti in maniera precisa.

La mostra riserva una parte interattiva in cui ci si proietta in un quadrato di luce bianca proprio al centro di uno dei quadri più famosi, “Secondo piano al sole” (1960). Ci si può sedere al fianco di una malinconica donna in bikini appoggiata alla balaustra esterna di una casa, in una giornata di inizio o fine estate. La malinconia o la felicità del momento cambiano a seconda dell’espressione che noi abbiamo scelto di assumere, così da poter stravolgere o abbracciare in toto l’ideologia di Hopper. Noi abbiamo scelto di sorridere.

DSC 1909 1024x687 MOSTRE   La malinconia di Hopper a Roma DSC 1917 1024x687 MOSTRE   La malinconia di Hopper a Roma

Marina Mannucci

contributi: Chiara Rapaccioni

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