img 35371 768x1024 All the World’s Futures  Per tutti i futuri del mondo. Uno sguardo dalla Biennale di Venezia.

Il 9 maggio scorso si sono aperte le porte dell’Arsenale, dei Giardini e di tutti gli eventi collaterali facenti parte della 56. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, oggi al suo 120° anno di attività e delle cui mirabilia si potrà fruire fino al 22 novembre prossimo. Presieduta da Paolo Baratta e curata da Okwui Enwezor, critico d’arte nigeriano già direttore artistico della Documenta 11 di Kessel nel 2002, la Biennale guarda quest’anno ai futuri scenari possibili del mondo, come il titolo lascia presagire. Scelta azzeccata in un momento delicato, in cui le difficoltà economiche, le barbarie belliche e il tema dell’immigrazione, rendono gli sviluppi in positivo, la solidarietà e i sogni generati all’interno dei vari paesi, un cammino che appare sempre più errante ma per il quale non dobbiamo deporre le speranze.

All’Arsenale, tra le Corderie, le Artiglierie, le Sale d’Armi e l’Isolotto si può ammirare, poi prolungata nel Padiglione Centrale dei Giardini e nelle varie aree esterne, la Mostra Internazionale curata da Enwezor, noto per essersi concentrato sui rapporti arte/società e sulle reciproche influenze che da questi scaturiscono. Il percorso espositivo sonda il rapporto che l’arte ha con l’ambiente dal quale viene influenzata, senza tralasciare i vari andamenti, economici e politici, che fungono da vettore per l’ispirazione creatrice che muove l’artista, attento osservatore della realtà. Non più flâneur baudelariano che si limita alla pura osservazione dello scenario urbano, ma sinestetico traduttore di quello che accade attorno a lui in una visione globale, l’artista viene solleticato e sollecitato dall’esterno, da quest’età dell’angoscia che stiamo attraversando. Il risultato ha generato un ventaglio di 136 artisti, dei quali 88 portati per la prima volta nella città lagunare.

Non è un caso che si sia messa in piedi un’ARENA all’interno del Padiglione Centrale dei Giardini, con performance programmate per tutta la durata dell’Esposizione, all’interno della quale, ogni giorno, viene letta dal vivo una parte del Capitale di Karl Marx, prima pungente critica al sistema capitalista che sfrutta i suoi figli. Sempre in questa sede vengono proiettati i film del grande regista russo, lettone di nascita, Sergej Ėjzenštejn, il quale si occupò di rendere noto il rapporto capitale/lavoro attraverso l’invenzione del suo “montaggio intellettuale”. E proprio ai Giardini, si possono ammirare i padiglioni nazionali con i quali la 1° Biennale del 1895 inaugurò i suoi battenti: strutture esterne meravigliose da contemplare ed installazioni interne che stimolano sensi e curiosità.

Il tanto discusso rapporto tra Natura e Cultura, entrambi fattori che, oltre a sembrare antagonisti, concorrono oggi insieme per generare futuri sostenibili, funge da protagonista soprattutto in due padiglioni, Francia e Olanda. Questi lavori ci regalano l’esperienza della bellezza panica che caratterizza la natura, sempre da preservare, e quello che è il suo rapporto con i propri abitanti, portatori di cultura. Proprio Céleste Boursier-Mougenot, nato a Nizza nel 1961 e sulla scena come musicista e artista da vent’anni, fonde questo celebre binomio in un unico scenario. Egli ha creato appositamente per il Padiglione Francia l’installazione transHumus. Già all’esterno si incontrano due pini silvestri, ruotanti sul proprio asse (ed è qui che la natura e la macchina culturale trovano la loro unione vincente), i quali ci accolgono maestosi. Ma è appena all’interno che si compie la vera magia: il fruscio elettrico dell’apparecchiatura, la quale dona il movimento all’albero, crea l’elemento sonoro, rendendo l’intero ambiente un’atmosfera gradevolissima. Tanto che se ne possono godere le risonanze benefiche comodamente sdraiati sulle piccole scalinate posizionate nelle tre stanze che contornano la sala principale. Sorpresa ancora più piacevole quando, sedendosi sui gradini all’apparenza di cemento, si scopre che sono in realtà composti da un soffice materiale.

Chi mette invece in discussione il rapporto Natura/Cultura è senz’altro Herman de Vries, con le sue opere presenti all’interno del Padiglione Olanda e il titolo che racchiude il percorso To be all way to be. L’artista concepisce i fenomeni legati alla natura come qualcosa in cui anche l’essenza umana è radicata, perciò è difficile stabilire quale delle due generi l’altra.

All’entrata del grande parco pubblico si ammira il lavoro Coronation Park del collettivo indiano RAQS MEDIA COLLECTIVE, all’attivo dal 1992 a New Delhi, il quale si occupa di tracciare il filo della storia delle idee che investono il grande cammino dell’essere umano e che tocca i flussi di pensiero, passando dalla politica alla filosofia; una delle poche tracce che permettono all’uomo, insieme al suo habitat naturale, di credere ancora nei migliori futuri possibili.

Alice Nicotra

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