Casa Forte, un racchiuso cortile nel caotico quartiere spagnolo di Napoli, luogo per pensare e fermarsi, e magari vedere qualche spettacolo.
Antonio dai grandi occhi azzurri e sua moglie dai pantaloni a scacchi sembrano in completa sintonia quando accogliendoci ci parlano dei loro progetti. Mostrandoci la struttura ci spiegano che quando l’hanno acquistata era un’ex fabbrica di litografie, prima ancora un convento, adesso, oltre ad essere la loro casa, è una “casa cultura”, dedicata alle arti performative.
È una fusione tra pubblico e privato quella che si crea qui, tra casa e palcoscenico, poiché l’enorme salone comune cambia destinazione d’uso a seconda del momento: è studio quando nell’aria c’è un progetto, è palcoscenico per un evento, luogo aperto alla sperimentazione. Tutto lo spazio diventa utile allo spettacolo, dall’ampiezza del piano terra ai pannelli opachi del ballatoio, coi quali si può lavorare con le luci come fossimo in un vero teatro.
L’altra ala della struttura è divisa in poche stanze, due sono destinate ai turisti, che col loro contributo finanziano i progetti teatrali, altre due agli artisti con cui instaurare durature e solide collaborazioni.
Fino a marzo Casa Forte ha messo in scena “Nautilus”, un gioco di luci e ombre che trasportava lo spettatore in fondo al mare, “ventimila leghe sotto i mari” appunto, ad esplorare i fondali e conoscere i pesci; così lo spettacolo diventava interattivo, adatto ai bimbi come agli adulti.
Ora nel salone c’è una scultura in costruzione che sarà il punto focale del prossimo progetto, pronto per l’estate e probabilmente in esposizione al Museo Archeologico, ma per adesso non ci svelano molto, preferiscono chiudere le porte e rientrare nel loro privato, in cui poter lavorare in intimità prima dell’arrivo dei prossimi visitatori.
Marina Mannucci